È una domanda che mi è stata posta spesso in questi ultimi giorni di viaggio e la risposta non è semplice. Diventare nomade è molto più che lavorare da remoto.
In questi ultimi giorni di viaggio a Fuerteventura tanti nuovi amici e viaggiatori mi hanno chiesto se lavoro oppure viaggio. Beh, nessuna delle due. Per rispondere alla domanda è necessario spiegare la storia di come ho realizzato il mio sogno: diventare nomade.
Facciamo un passo indietro.
Tutto è iniziato quando sono diventato imprenditore (quasi) per sbaglio
Qualche anno fa ho preso una delle decisioni più importanti della mia vita: dopo 4 anni di lavoro come dipendente decisi di aprire una partita iva e mettermi alla prova come freelance designer. Sentivo la necessità di sviluppare i miei progetti personali, di non sottostare alle regole di un capo che non mi valorizzava, di smettere di vivere la vita aspettando una busta paga a fine mese. Volevo soprattutto dettare i tempi delle mie giornate.
Il mio piano era di costruire una solida base clienti per poi diventare nomade e iniziare a lavorare viaggiando. Mi ero dato un anno e mezzo di tempo e volevo assolutamente partire prima del compimento dei miei 30 anni.
Era il 2019, abitavo a Firenze e il mondo era ben diverso da quello che conosciamo oggi.
Un giorno arriva un’opportunità interessante
Una startup con sede a Firenze ha bisogno di un designer per lanciare un nuovo prodotto digitale sul mercato e offre 1/4 delle quote societarie a chi si unisce al progetto. È un’esperienza che manca al mio curriculum e non riesco a rinunciare.
Mi butto a capofitto nel progetto, investo tutti i miei risparmi lavorando gratuitamente e in cambio, se il progetto andrà bene, riscuoterò il fatturato di un anno di lavoro vendendo le mie quote societarie e avrò alle spalle una storia di successo che mi aprirà tante porte. Io e i miei nuovi soci ci diamo un anno di tempo.
All’inizio del 2020 lanciamo il prodotto sul mercato ma iniziano ad arrivare strane notizie di pipistrelli contagiosi e influenze dalla Cina: il mondo cambia in poche settimane e noi ci ritroviamo chiusi in casa nel bel mezzo di una pandemia mondiale mentre lanciamo la nostra prima campagna di marketing, costretti a lavorare giorno e notte per non perdere tutto quello che avevamo investito nell’ultimo anno di lavoro.
La situazione è critica: sono socio di una società che non vale niente, non ho un soldo in tasca e inizia il primo lockdown globale della storia.
Tutti i miei piani sembrano sgretolarsi sotto quell’evento imprevisto. Il mio piano era di diventare nomade e adesso sono lontanissimo da quell’obiettivo. Ho una unica scelta davanti a me: lasciare ammettendo il fallimento oppure continuare a scommettere nonostante un mondo sottosopra?
È quasi impossibile da spiegare ma in pratica un anno e mezzo dopo abbiamo 40 dipendenti, centinaia di clienti da tutta Italia e siamo un brand riconosciuto nel settore.
Abbiamo fatto letteralmente un miracolo.
Il brivido del cambiamento
In quanti a 30 anni vorrebbero essere a capo di un progetto di successo, guidare un team di talento, in una delle città più belle d’Italia?
La vita è fatta di bivi e il brivido di poter cambiare direzione mi ha da sempre affascinato. È impossibile vivere più vite contemporaneamente e per andare avanti bisogna lasciar andare qualcosa, per quanto questo sia dannatamente difficile.
Nella mia testa la decisione è già presa: lascio la startup, dopo due anni di sacrifici e durissimo lavoro, proprio quando questa ha raggiunto il successo che si merita.
Saluto i miei soci, metto il minimo indispensabile nello zaino e finalmente inizio a inseguire il mio sogno: prendo un volo di sola andata per Fuerteventura.
E oggi quindi cosa fai: viaggi o lavori?
Entrambi.
Diciamo che la mia priorità è diventare nomade e il lavoro è diventato solo un pezzettino della mia vita. Ho capito che bisogna sempre avere in testa la propria priorità e che tutte le scelte quotidiane della vita devono essere coerenti con quella priorità. Lo dobbiamo a noi stessi.
Attualmente sono a Corralejo da due settimane, sto entrando in contatto con tanti nomadi digitali e nel frattempo ho iniziato a documentare i miei viaggi su Instagram.
In questo blog condivido le mie esperienze da nomade, minimalista e backpacker.
Nel frattempo nuovi clienti sono interessati a lavorare con me ma ho deciso di accettare un progetto per volta, di non riempire la mia settimana di lavoro e di non lavorare nei weekend.
Dopo due anni rocamboleschi posso riassumere dicendo che ho riportato i miei passi sulla strada dei miei sogni e questo è di per sé il mio lavoro a tempo pieno.